Stiamo vivendo un’epoca di trasformazione: la fine del multilateralismo, lo smantellamento delle catene globali del valore, l’ascesa dei populismi, la supremazia della tecnologia sull’uomo, il ritorno dei dazi, la centralità dello Stato, la ricerca di una “nuova” sostenibilità. Per tanti è una fase di transizione difficile, ma in cui agire con decisione affinché l’uomo resti il punto cardine attorno al quale costruire il futuro. Accettare il trauma del cambiamento richiede un confronto aperto sui valori e una direzione chiara da perseguire nell’agenda politica.
ESG: dove siamo arrivati?
È cresciuta in questi anni l’attenzione agli ESG con riferimento all’impegno ambientale (« E») e sociale (« S ») mentre si discute ancora poco della « G » di Governance. Eppure, se un’impresa vuole ridurre l’impatto ambientale o investire nel sociale, deve poter contare su una Governance solida capace di prevenire eventuali rischi e di determinare scelte importanti.
Ma facciamo un passo indietro: gli ESG sono nati 20 anni fa, più o meno quando iniziai a lavorare in questo campo. Nel 2003, nell’ambito della United Nation Environmental Programme Financial Initiative (Unep Fi), venne costituito il primo gruppo di lavoro tra investitori, il quale presentò il progetto ESG nel 2005, un progetto entusiasmante, in grado di riscrivere in parte capitalismo e metodi produttivi, equilibri ed interessi, capace di forzare la mano a terra, capitale e lavoro, inserendo un quarto fattore, l’etica. Probabilmente gli attori dell’epoca non si resero conto fino in fondo della capacità ri-generativa di quel progetto inserito in un “sistema” ignaro.
Vent’anni dopo, a che punto siamo? Quale è stata l’applicazione pratica degli ESG?
Ci si è dati un gran da fare. È indubbio. Integrare i fattori ESG nelle aziende ad esempio significa portare la sostenibilità (ambientale, sociale e di governance) nei meccanismi decisionali, nei processi di controllo, nei sistemi di gestione dell’azienda. Gli esempi sono i più vari. Si è lavorato molto duramente anche grazie agli officer della Sostenibilità che hanno saputo, i più meritevoli, convincere amministratori ed organi decisionali. Si è potuto dimostrare come la gestione dei rischi ESG sia fondamentale per garantire la solidità dei vari modelli di business e creare valore nel lungo periodo. I rischi monitorati spaziano dagli aspetti ambientali a quelli sociali, supply chain inclusa, dalla tracciabilità delle materie prime, fino agli aspetti legati alla trasparenza e conflitti di interesse. I fattori ESG non sono un obbligo normativo né lo saranno mai visti i tempi di snellimento di CSRD ma determinano effetti importanti su competitività e produttività.
Tuttavia, si deve pensare ad un’evoluzione di essi ed introdurre alcune innovazioni.
Una proposta in grado di rafforzare gli ESG
Occorre abbandonare questa lunga fase di latenza culturale ed aprirci ad un confronto che metta tutto insieme. AISEC, l’Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare, propone un percorso che esplori le diverse dinamiche della Governance, istituendo un collegamento con l’idea di Giustizia non solo vista come un valore morale, ma anche come principio ordinatore per le diverse categorie della Sostenibilità. L’obiettivo è superare la frammentazione attuale delle iniziative ESG e utilizzare la giustizia come framework unificante. In questo modo, le azioni ambientali, sociali e di governance non sono più viste separatamente ma come parti interconnesse di un unico disegno volto a creare un equilibrio equo e duraturo per tutti gli stakeholder.
Tra queste azioni c’è quella di surrogare alcune attività proprie del comparto pubblico e agire a favore dei propri dipendenti. Oggi il compenso del lavoro è costituito non solo dallo stipendio ma anche da pensione, welfare contrattuale e aziendale. Le aziende non possono più delegare esclusivamente allo Stato la responsabilità previdenziale. Il rischio di una forza lavoro che invecchia senza adeguate tutele è reale e impatta direttamente su produttività, costi e sostenibilità organizzativa.
Sui Fondi pensione, inoltre, l’ottava edizione della ricerca ET.Group-Assofondipensione conferma l’identità ESG come fattore basilare per l’azienda stessa, in grado anche di attrarre i giovani.
La « G » di Governance contiene anche questa importante area di impegno, collegata a filo diretto con la Giustizia sociale: ad esempio la previdenza rappresenta un investimento nel benessere futuro dei lavoratori e un segnale di attenzione verso le persone, in una parola, di welfare. Previdenza complementare come ulteriore leva di ESG dunque.
L’Europa potrà rafforzare la propria competitività solo adottando un modello che integri tecnologia avanzata, transizione verso energie rinnovabili e giustizia sociale: lo ricorda Mario Draghi ad un anno dal suo rapporto. Si può partire dall’ampliamento della categoria della giustizia sociale?
Per lungo tempo si è parlato dell’etica e della giustizia come qualcosa da regolamentare, talvolta le si è bollate come un vincolo all’innovazione. Invece noi siamo convinti che l’etica sia ciò che ci consente di innovare bene. Il purpose è il fine dell’impresa. L’etica è l’orientamento al fine e influenza direttamente la maniera in cui quel fine viene perseguito. Il collegamento con la buona innovazione risulta chiaro. Bisogna partire dal purpose, dal fine dell’azienda, per individuare i valori e capire perché, come e su cosa innovare. A tal fine sono necessarie delle strategie di governance adeguate che attivino processi di formazione e di comunicazione trasparente, in modo da generare partecipazione e consenso.
Se prendiamo alcuni brand del lusso come Armani, Dior, Loro Piana e Tod’s sono state prese di mira dalle autorità italiane sul tema dei diritti umani lesi lungo la loro catena di fornitura, mettendo a repentaglio per di più anche il diritto alla concorrenza, a causa di non veritiere dichiarazioni presenti nei loro codici etici.
Al di là del continuo “sorry state” dell’industria, l’intero sistema necessita di una ridefinizione degli obiettivi strategici per il mantenimento del business e della reputazione
Perché gli ESG sono anche un tema aziendale in ultima analisi?
Gli ESG hanno un impatto diretto sulla conduzione di un’azienda che per definizione non ha un modello democratico. Alla fine, è sempre il capo a decidere.
Di questi tempi ci sono persone che pensano che la democrazia non funzioni più e che la tecnologia sia più affidabile delle istituzioni umane, che il razionalismo permetta di sottomettere la morale alla logica. Queste stesse persone pensano che la gerarchia permetta di organizzare nel migliore dei modi il mondo delle imprese. Per loro il capo d’azienda resta colui che prende le decisioni soprattutto in tempo di crisi. Il mito dell’imprenditore è venuto a confondersi con il mito del capo provvidenziale. Innanzitutto, perché l’uno e l’altro permettono di affermare un potere senza democrazia. Si tratta di una visione individualista, ego-centrica che rispecchia la nostra attuale Società.
Credendo che tutto ciò porti ad una progressiva ed inesorabile dissoluzione della Società stessa oltre che della reputazione dell’azienda – ormai divenuta espressione del capitale finanziario in assoli individualisti -, ci battiamo affinché la visione ESG continui ad alimentare programmi e progetti industriali, economici, di programma politico e collettivo.
