Le condizioni in cui versa il nostro pianeta non sono rassicuranti: gran parte della dottrina scientifica nel corso degli ultimi cinquant’anni si è premurata di allertare i governi di tutto il mondo circa le conseguenze di un modello di produzione lineare che sempre più erode le risorse naturali in dotazione e che immette in atmosfera quantità elevate di gas serra. Le attività dell’uomo hanno determinato un deficit ecologico che pone radici nel progressivo esaurimento delle risorse biologiche e si traduce in una eccessiva produzione di rifiuti e in una alterazione della biodiversità.

Tra gli impegni più noti assunti dalla quasi totalità dei Paesi del mondo per ridurre l’impatto delle attività antropiche sull’ambiente, ricordiamo a titolo di esempio l’Accordo di Parigi, che ha previsto l’obbligo per i Paesi aderenti di introdurre gli NDC – Nationally Determined Contributions e di aggiornarli con cadenza quinquennale. Tuttavia, dal più recente rapporto (2021) dell’IPCC – Intergovernmental Panel on Climate Change sugli scenari futuri, emerge l’impossibilità di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°: si tratta di un aumento significativo che si registrerà molto prima della metà del secolo e che si prevede raggiunga i 2° entro il 2100, portando con sé effetti devastanti e difficilmente contenibili. La visione più ottimistica del report prevede la completa decarbonizzazione delle attività umane entro il 2055: un traguardo che porterebbe in ogni caso con sé un ulteriore aumento delle temperature, a causa dello stock di emissioni prodotte fino a quel momento.

Da parte dell’Unione europea abbiamo assistito a una crescente sensibilità alla tematica ambientale. L’UE ha prodotto atti legislativi vincolanti per gli Stati membri, con l’obiettivo di promuovere buone pratiche di sostenibilità e, soprattutto, uno stile di produzione e consumo più etico, inclusivo ed efficiente. In questa sede, il tema del cambiamento climatico è prioritario: la Commissione ha riconosciuto la decarbonizzazione quale fondamento della futura UE e ha approvato, nel luglio 2021, la proposta legislativa “Fit for 55” con cui è stato assunto l’impegno di riduzione delle emissioni del 55% rispetto ai livelli del 1990 entro il 2030.

Anche sull’economia circolare l’Unione Europea si è espressa in maniera netta. Investire in circolarità è il prerequisito della neutralità climatica: l’economia circolare non permette soltanto di ridurre l’impatto delle attività umane sull’ambiente, ma riduce il fabbisogno di risorse primarie, la produzione e il conseguente smaltimento dei rifiuti e il ricorso alle fonti energetiche fossili.

La Commissione europea, affiancata dai più importanti istituti di ricerca europei e sulla base di studi costantemente in aggiornamento, ha riconosciuto all’economia circolare un ruolo particolarmente di rilievo per raggiungere gli obiettivi posti, tanto da approvare il Piano d’Azione per l’Economia Circolare. Il documento, supportato dal 2030 Climate Target Plan, ritiene che la combinazione tra economia circolare e cambiamenti negli stili di vita dei cittadini sia una strategia di mitigazione vincente anche dal punto di vista dei costi: ciò richiederebbe, infatti, un livello totale di investimenti annuali inferiore del 5-8%[1] rispetto a una previsione in cui tale combinazione non si realizzi. Dalla Strategia a Lungo Termine della Commissione sulla riduzione delle emissioni di gas serra emerge come, solo rispettando gli obiettivi di riciclo[2] previsti nel 2015, si ottenga una riduzione di 477 milioni di tonnellate di gas serra[3].

Altra fonte a cui far riferimento per sottolineare la necessità di ricorrere all’economia circolare quale strumento per combattere il cambiamento climatico è il Circularity Gap Report 2022, prodotto dal Circularity Gap Reporting Initiative (CGRI), lanciata da Circle Economy. Il progetto è sostenuto dall’UNEP e dal Global Environment Facility e ha l’obiettivo di raccogliere i dati relativi alla circolarità globale e di misurare il livello dell’economia mondiale attraverso la prospettiva della transizione ecologica. Lo studio evidenzia che, nonostante sia chiara la correlazione tra consumo di materiali ed emissioni di gas serra, la circolarità globale stia peggiorando, a scapito di un continuo e insostenibile consumo di risorse vergini. Il report sottolinea come i dati del 2018 siano migliori rispetto a quelli più attuali: si è passati, in soli due anni, dal 9,1% nel 2018 all’8,6% nel 2020. Ciò significa che sprechiamo oltre il 91% di tutti i materiali in uso e recuperiamo solo l’8,6% delle risorse impiegate. Il Circularity Gap Report è stato presentato dagli organizzatori del World Economic Forum a gennaio 2022 e nasce dall’annuale Emission Gap Report il cui scopo è monitorare annualmente, come richiesto dalle Parti della Convenzione ONU sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), gli impegni politici assunti dai Paesi per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Accordo di Parigi. Il Rapporto del Circle Economy calcola il divario tra i quantitativi di materiali sprecati e quelli che sarebbe necessario riutilizzare per mantenere il riscaldamento globale entro l’obiettivo prefissato. Stando ai dati, tra la COP25 di Parigi nel 2015 e la COP26 di Glasgow nel 2021, è stato estratto il 70% in più di materiali vergini di quanto la Terra può reintegrare in sicurezza: non è un caso se l’ultimo Global Risks Report del World Economic Forum, pubblicato sempre a gennaio 2022, ha inserito la scarsità di materiali tra i 10 più probabili rischi che dovranno essere affrontati nei prossimi anni (per la precisione, lo troviamo all’ottavo posto).

Da uno studio condotto nel 2021 dall’Alleanza per l’Economia Circolare, emergono le problematicità settoriali relative alle emissioni di gas climalteranti. Nello specifico[4], si espongono sinteticamente gli impatti emissivi dei settori risultati più compromettenti per il clima in Europa e nel mondo, e che, ad oggi, sono oggetto di un’esordiente rivoluzione circolare:

  • Food. Risulta essere il più emissivo, con un impatto a livello europeo pari a 1200 MtCO2 eq, di cui l’11% del totale delle emissioni di gas a effetto serra relative al settore agricolo e, di queste, il 70% proviene dall’allevamento. Inoltre, il 20%[5] di tali emissioni è relazionato allo spreco di cibo, responsabile a livello globale di circa l’8%-10%[6] delle emissioni complessive.
  • Energia. Il 98,9%[7] delle emissioni del settore è costituito da CO2 e risulta in riduzione dell’11,1% rispetto al 2018 per via del minor impiego dei combustibili fossili a favore delle energie rinnovabili. In particolare, nel 2019 il consumo di energia fossile in Europa si è ridotto del -14,7% rispetto all’anno precedente, mentre il consumo di energia rinnovabile ha avuto un incremento del +4,6%[8].
  • Trasporti. A differenza degli altri settori economici, questo settore ha assistito a un aumento delle proprie emissioni del 21% nel 2019 rispetto ai livelli del 1990. Attualmente, i trasporti sono responsabili di un quarto[9] delle emissioni totali di gas a effetto serra nell’UE.
  • Tessile. Secondo l’Agenzia Europea dell’ambiente, solo nel 2017 il tessile ha generato circa 654 kg di emissioni di CO2 per persona, nonché il 4% delle emissioni globali totali. Vi è da rilevare, inoltre, che l’uso di detergenti, il lavaggio, l’asciugatura e la stiratura dei capi contribuiscono ciascuno con una quota di circa il 25% all’impatto totale sul clima della fase di utilizzo[10].
  • Edilizia. Gli edifici consumano un’ampia quota (40%) dell’energia finale e, considerando sia le emissioni degli stessi che quelle delle fonti energetiche per i loro consumi, il settore è responsabile del 36%[11] delle emissioni complessive di gas serra in UE.
  • Chimico. Risulta ad oggi il settore meno inquinante; ha generato nel 2019 il 2,2% del totale emissivo e ha visto il miglioramento più sostanzioso in termini di riduzioni rispetto al 1990 (-87,5%), con un consumo di materia di origine fossile ridotto del -32% e una riduzione del -51,5% del consumo di energia.

L’Italia, dal canto suo, si è allineata ad altre realtà europee approvando a giugno 2022 i decreti per l’adozione della Strategia nazionale per l’economia circolare, un documento che ha richiesto un grande sforzo collaborativo, che ha udito soggetti appartenenti a diversi settori dell’economia e dell’associazionismo  e ha impiegato più di cinque anni di tempo per essere messa a punto: come recita il testo stesso, si tratta di “un documento programmatico all’interno del quale sono individuate le azioni, gli obiettivi e le misure che si intendono perseguire nella definizione delle politiche istituzionali volte ad assicurare un’effettiva transizione verso un’economia di tipo circolare[12]”.

L’orizzonte temporale a cui fa riferimento la Strategia è il 2035 e rappresenta un importante primo passo verso la concretizzazione di un modello di sviluppo e produzione circolare: definire i nuovi strumenti amministrativi e fiscali per potenziare il mercato delle materie prime seconde permette a ciò che comunemente chiamiamo rifiuto di diventare competitivo, disponibile ed economico rispetto alle materie prime originarie. Non da meno, l’obiettivo della Strategia è agire sulla catena di acquisto dei materiali (i CAM – Criteri Ambientali Minimi caratterizzanti il green procurement della Pubblica Amministrazione), sulla modifica dei criteri che qualificano il rifiuto quale tale (End of Waste), sulla responsabilità estesa del produttore e sul ruolo fondamentale del consumatore, che va ancora profondamente educato circa l’impatto che le azioni quotidiane del singolo possono avere nell’accelerazione del processo di transizione.

Inoltre, la Strategia definisce una roadmap di azioni e di target misurabili per il raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica e favorisce l’implementazione delle reti di impresa come elemento fondamentale di attuazione dei suoi contenuti: il documento, infatti, propone di introdurre agevolazioni fiscali in favore delle imprese che perseguono business models basati sui principi dell’economia circolare e che quindi investono sullo sharing di piattaforme e servizi e sulle iniziative di repairing, re-manufacturing e co-design. Il concetto di circolarità così inteso si esplica mediante la cooperazione tra tutti i soggetti del ciclo di vita di un bene, con l’intento di allungare il più possibile la vita dei prodotti. Se non si riuscisse ad attuare questo meccanismo, l’intero sistema previsto dalla Strategia funzionerebbe in maniera parziale: il modello dell’economia circolare, infatti, per definizione è integrato.

In termini di investimenti compiuti a favore della transizione, l’Italia risulta al quarto posto dopo Regno Unito, Germania e Francia, con investimenti pari a 2.201 milioni di euro[13]. Il dato risulta pari allo 0,13% del PIL, sicuramente in linea con quello europeo, ma significativamente inferiore a quello di gran parte dei Paesi UE. Ciò comporta una serie di conseguenze[14] per la produttività e l’occupazione. A parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorsa consumata, l’Italia genera 3 euro di PIL, contro una media europea di 2,24 e valori tra 2,3 e 3,6 in tutte le altre grandi economie europee. Inoltre, l’Italia recupera il 18,5% di materia seconda sui consumi totali di materia ed è leader di settore tra i grandi Paesi europei per tasso di circolarità dell’economia, nonché detentrice del più basso consumo domestico di materiali grezzi (8,5 tonnellate pro capite contro le 13,5 della media europea). Altro dato positivo, il nostro Paese è tra i primi per capacità di estrarre valore dalle risorse utilizzate (3,34 euro per ogni kg di risorse utilizzate contro un valore medio europeo di 2,20 euro per kg). Infine, l’Italia è al primo posto per circolazione di materiali recuperati all’interno dei processi produttivi, con il 18,5% di riutilizzo contro il 10,7% della Germania. Per quanto riguarda l’occupazione, nel 2021 i posti di lavoro nei settori dell’economia circolare erano circa 510 mila, il 2,08% del totale nazionale e il 26,8% del totale europeo, dietro la Germania (circa 640 mila) e superiore alla. Nella penisola alla media dell’UE pari a 1,71%.

L’Italia ha un potenziale enorme per l’uso efficiente delle risorse

Vista dall’esterno, l’Italia è il paradiso delle materie prime seconde: essa presenta una varietà di produzioni in Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna, ma anche, in modo meno organizzato ed omogeneo, nelle Regioni del Centro-Sud. La ricchezza del potenziale della simbiosi industriale è tale nel nostro Paese per cui non si capisce come questo mercato non abbia ancora raggiunto il livello di fluidità auspicato e come mai, ad oggi, l’economia circolare sia ancora accompagnata da reticenze e dubbi.

Il ruolo dell’Impresa

L’impresa, unitamente agli altri attori coinvolti nel ciclo produttivo, può contribuire al cambio di passo verso una nuova Economia Circolare e Responsabile attraverso pratiche e modelli produttivi a forte impatto rigenerativo, per se stessa e per la comunità del suo indotto, con moltiplicatori sociali importanti. Fare di necessità virtù, riuscire a trasformare un esubero o un rifiuto in una “risorsa”, pensare un prodotto in chiave rigenerativa: questi i cardini principali dell’economia circolare, il modello di sviluppo che abbandona il modello lineare di produzione, uso e rifiuto, e che mira a chiudere i cicli. Non solo riuso, quindi, ma anche differenziare, riciclare e, soprattutto, pensare e progettare i prodotti in modo tale che, una volta arrivati a fine ciclo vita, possano essere facilmente disassemblati, riciclati, o riutilizzati per altri fini.

L’idea dell’economia circolare si è progressivamente evoluta e allargata e oggi riguarda molti settori merceologici come abbiamo visto.

Un modo per tradurre in pratica il modello di economia circolare è il ricorso a soluzioni produttive che incentivino il cosiddetto PEF (Product Environmental Footprint) che indica le prestazioni ambientali di un prodotto o servizio nel corso del rispettivo ciclo di vita. Le informazioni relative alla PEF sono fornite con l’obiettivo di ridurre l’impatto ambientale dei prodotti e servizi tenendo conto dell’intera filiera di approvvigionamento, dall’estrazione di materie prime, alla produzione nelle varie fasi, alla gestione del prodotto divenuto rifiuto.

Il concetto che sta alla base e che segna un distacco netto dalle dinamiche dell’economia tradizionale è la dimensione “rigenerativa” in assoluta identità con i cicli di vita biologici presenti in natura in grado di recuperare materia viva anche a fine vita (“restorative by intention” secondo la definizione dell’Unep). Tale modello si è diffuso nelle politiche di sviluppo di molti Paesi dando anche vita ad azioni preventive di progettazione dei prodotti di consumo in chiave di riuso, come, in Italia, sancito dal D.M n. 140/2016 sull’eco-progettazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche.

I risultati dell’indagine tra le imprese italiane condotta da AISEC – Associazione Italiana per lo Sviluppo dell’Economia Circolare

L’iniziativa ha avuto come obiettivo l’approfondimento della propensione delle aziende italiane all’economia circolare. Le aziende italiane hanno sviluppato o stanno sviluppando una coscienza legata ad un concetto di circolarità? Esistono già delle azioni concrete in tal senso? Quali sono le criticità che le aziende stanno incontrando nel loro percorso?

Si è inoltre ritenuto che una raccolta di informazioni sulle esperienze e gli orientamenti delle aziende italiane – oltre a sensibilizzare – aiutasse anche a promuovere il dibattito sullo sviluppo di reti di collaborazioni e partnership, considerato elemento decisivo per lo sviluppo dell’economia circolare.

Il questionario somministrato alle aziende è stato strutturato in quattro macro sezioni. La prima ha riguardato la raccolta di informazioni generali, utili ad identificare il soggetto rispondente; la seconda sezione ha identificato l’approccio all’economia circolare permettendo di entrare in modo pratico nel tema trattato. L’analisi è stata condotta sul se e come l’azienda abbia adottato il modello quali siano le pratiche in atto e quali siano le difficoltà riscontrate.

Nella terza sezione sono stati presi in considerazione diversi parametri per identificare le performance aziendali e gli strumenti adottati per aumentare l’efficienza, l’innovazione e la sostenibilità sul medio-lungo periodo. Nello specifico i quesiti riguardavano: le modalità di monitoraggio delle fonti di energia e dei consumi energetici al fine di ridurre le emissioni; l’adozione/l’utilizzo di un sistema per la valorizzazione di rifiuti, sottoprodotti e materie prime seconde al fine di implementarne il riutilizzo; la valutazione di partnership con altri soggetti della filiera produttiva; lo studio LCA (life cycle-assessment) su prodotti. La quarta sezione, infine, è stata utile per esplorare le aspettative delle aziende, in relazione alle iniziative che sarebbero auspicabili per favorire l’ulteriore diffusione di una cultura orientata all’economia circolare e la realizzazione di iniziative e progetti dedicati.

È interessante notare come al primo posto tra gli impedimenti percepiti si trovi la mancanza di schemi di certificazione sia sui processi che sui prodotti e di reti (24.61% degli intervistati).

“Metrica” e “dialogo tra industrie” sono due concetti chiave per l’economia circolare: uno scarto di lavorazione può entrare in diversi cicli o in filiere diverse rispetto a dove è stato generato; ne consegue che la creazione di reti è il passaggio fondamentale sul quale occorrerà concentrare gli sforzi per dare impulso al passaggio da economia lineare a economia circolare. E’ anche grazie alla rete e alla condivisione delle informazioni che si possono sviluppare nuove tecnologie. Ma tutto ciò necessita di concrete misurazioni e di modelli che ne certifichino l’applicazione.

Sfide aperte

Nonostante i tanti studi pubblicati in questi ultimi anni che evidenziano un cammino virtuoso verso il modello, non siamo ancora riusciti ad avere in Italia un approccio sistemico sull’economia circolare. Le realtà osservate sono distribuite sul territorio a macchia di leopardo e in alcun modo dialogano tra loro. Siamo ancora lontani dal realizzare una piattaforma comune per industria e fra industrie in cui si scambino materie prime seconde.

Oggi l’economia circolare è una tendenza mondiale ed irreversibile. Ciononostante, molto deve essere ancora fatto per potenziarne l’azione sia a livello dell’UE che italiano per sfruttare il vantaggio competitivo che essa porterà alle imprese. L’interazione con i portatori di interesse ci suggerisce l’urgente necessità di agevolare le imprese nel cammino verso il modello circolare con norme e con contributi fiscali ad hoc. Proprio in questi giorni la Commissione europea ha incaricato gli organismi europei di normazione di elaborare criteri per la misurazione della durabilità, della riutilizzabilità, della riparabilità e della riciclabilità dei materiali. Ma molto occorre ancora fare.

Un punto focale risulta, sicuramente, l’assenza di agevolazioni fiscali, che porta le imprese a impegnarsi spesso su base volontaristica, trascurando il periodo di crisi attuale e la scarsa disponibilità a investire per questo tipo di attività profitti funzionali alla vita aziendale. In tale contesto, il sistema di agevolazioni fiscali studiato dalla Strategia dovrebbe permettere al modello economico circolare di determinarsi. Un secondo punto cardine riguarda l’assenza di infrastrutture, impianti e hub di raccolta di materie prime seconde che permetta una loro gestione efficiente. Fino ad ora, purtroppo, abbiamo assistito in Italia a diversi rallentamenti, che ci auspichiamo possano essere risolti nel più breve tempo possibile con lungimiranza e capacità di intervento. Un aspetto a cui rivolgersi positivamente, però, rimane il potenziale e notevole risparmio ottenibile a seguito degli investimenti in circolarità, somme ingenti che si potrebbe decidere di investire ulteriormente in sviluppo sostenibile dell’intero indotto e che produrrebbero notevoli effetti positivi sull’ambiente e il contrasto al cambiamento climatico.

Relativamente agli strumenti a disposizione dell’economia circolare, non ci rimane che guardare al prospetto di possibilità che l’innovazione metodologica e il progresso tecnologico oggi rendono disponibile. Misurazione[15] è sicuramente una delle parole chiave da cui tutto prende forma: per migliorare, è indispensabile conoscere a fondo il proprio punto di partenza e delineare in modo attendibile e preciso la quantità di materiali, di energia e di acqua impiegate. In questo modo, sarà possibile costruire un modello di business circolare, di cui valutare le emissioni di gas climalteranti legate all’attività di produzione. Solo attraverso un’attenta e costante misurazione potremo comprendere l’economicità e l’efficacia in termini di sostenibilità delle strategie messe a punto. E questo è realizzabile a tutti i livelli: dal micro (l’impresa), al macro aggregato (Paese e realtà sovranazionali).

Inoltre, la finanza verde in tale contesto può giocare un ruolo di sprono importante: gli investimenti circolari capaci di dimostrare un potenziale di riduzione delle emissioni avranno vie di accesso libere ai fondi finanziari e ciò permetterà alle imprese (ma anche gli Stati) di soddisfare adeguatamente i requisiti di reporting ESG richiesti sempre più dall’UE.

L’obiettivo della riduzione delle emissioni può essere raggiunto anche tramite la creazione di prodotti circolari e climaticamente neutri[16], il cui contenuto di CO2 sia previsto al di sotto di una certa soglia di emissione di gas serra e fornisca prove del basso impatto climatico a consumatori e investitori finanziari.

Tra i vari strumenti esistenti, possiamo citare anche i Certificati di Efficienza Economica Circolare (CeeC), proposti dalla Fondazione Utilitatis[17], che prevedono l’obbligo per i produttori di beni di utilizzare materia prima seconda o, in alternativa, di acquistare l’ammontare[18] di certificati corrispondente al proprio obbligo. In questo modo, verrebbe favorita il recupero di materia prima seconda, riducendo il ricorso a materie vergini e riducendo le emissioni in ambiente.

La stessa Fondazione Utilitatis ha proposto, in aggiunta ai CeeC, lo strumento dei Titoli di Efficienza Energetica Circolare (TeeC). Basati sull’esperienza dei Certificati Bianchi, permetterebbero di certificare il  risparmio energetico derivato dalla messa sul mercato di materia prima seconda a scopi produttivi, in alternativa al consumo di materia vergine, e consentirebbero di valutare il processo complessivo in logica LCA. In questo modo, si andrebbe a controllare il risparmio energetico, variante importantissima al fine del raggiungimento degli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni di CO2.

Non bisogna, infine, dimenticare il ruolo primario giocato dall’educazione e dall’informazione al singolo individuo. Gli strumenti di comunicazione al pubblico mirano al coinvolgimento della cittadinanza e di tutti gli stakeholder chiamati a contribuire al processo di transizione ecologica in atto: devono essere favoriti i programmi di cooperazione transnazionale basati su partnerships multilaterali tra organizzazioni attive in ambito di economia circolare, includendo le istituzioni nazionali e quelle locali, senza dimenticare gli strumenti di training orientati alle aziende. Per ultimo, ma non per importanza, bisognerebbe favorire azioni di engagement della popolazione, con lo scopo di rafforzare la consapevolezza civica relativa alla sostenibilità.

Nasce Circular Evolution

Circular Evolution nasce dalla partnership tra Enel X, CESI e ICMQ e si propone di diffondere la conoscenza e l’applicazione dei principi dell’Economia Circolare, in tutti suoi molteplici aspetti. Attraverso gli schemi di certificazione promossi, consente alle organizzazioni più virtuose di assumere sempre maggiore consapevolezza rispetto ai benefici raggiungibili tramite il nuovo paradigma dell’economia circolare che coniuga competitività, innovazione e sostenibilità.

L’Associazione promuove sul mercato nuovi schemi di certificazione finalizzati a misurare il livello di applicazione di tali principi nell’ambito di Organizzazioni, siti e prodotti, inoltre  ha lo scopo di diffondere la conoscenza, la diffusione e l’applicazione dei principi dell’Economia Circolare attraverso azioni mirate tra cui, ad esempio:

  • la sensibilizzazione degli operatori economici ad analizzare ed implementare i paradigmi del modello;
  • favorire lo scambio di esperienze applicative fra i soci nel rispetto della normativa applicabile;
  • promuovere iniziative di diffusione dei principi di Economia Circolare, quali convegni, seminari, webinar, pubblicazioni su riviste;
  • divulgare i risultati delle iniziative attraverso i media, fra cui un sito web dedicato;
  • la preparazione di position paper per diffondere le proposte dell’Associazione presso le istituzioni;
  • predisporre iniziative di formazione dedicate ai soci o aperte ai soggetti interessati per sviluppare una più diffusa sensibilità sulle modalità applicative del modello economico;
  • diffondere sul mercato gli schemi di certificazione sviluppati dai soci fondatori, definiti “nuovi indici di circolarità” (NCI), finalizzati a misurare l’applicazione dei principi dell’Economia Circolare a prodotti, aziende o pubbliche amministrazioni e dei nuovi schemi di circolarità che verranno sviluppati dalla Associazione stessa e che saranno stati accreditati.

I Vantaggi

Gli schemi sono i primi esistenti e sono volontari, di grande respiro e anticipano i principali strumenti normativi internazionali in via di sviluppo, consentendo alle organizzazioni virtuose di assumere sempre più consapevolezza rispetto ai benefici raggiungibili tramite il nuovo paradigma dell’economia circolare.

Inoltre ogni organizzazione può utilizzare gli schemi per misurare se stessa e adottare comportamenti virtuosi facilmente quantificabili tramite le metriche utilizzate dal programma Circular CertificationTM. Allo stesso modo la metrica può essere utilizzata per valutare i propri fornitori, nella consapevolezza che l’adozione della circolarità si rafforza quando espressa lungo tutta la catena del valore e costituisce un criterio di scelta delle partnership economiche di lungo periodo.

Adottare i modelli dell’economia circolare genera una competitività nel lungo orizzonte e l’efficacia di tutte le azioni introdotte può essere misurata attraverso il miglioramento degli indici di circolarità proposti dagli schemi di certificazione del programma.

Il marchio che viene concesso a tutte le organizzazioni certificate diventa inoltre uno strumento efficace nel contesto delle partnership esistenti con i fornitori e nel fornire strumenti di immediata visibilità e valorizzazione di quanto le organizzazioni stesse riservino attenzione al tema della circolarità.

[1] Comunicazione della Commissione, Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra, 2018.

[2] Ogni tonnellata di plastica rigenerata (in luogo del suo incenerimento) permette di risparmiare l’equivalente delle emissioni annuali di un’automobile.

[3] COMMISSION STAFF WORKING DOCUMENT. Additional analysis to complement the impact assessment SWD (2014) 208 supporting the review of EU waste management targets. 2015.

[4] Alleanza per l’Economia Circolare, Quaderno 3. Economia circolare e mitigazione del cambiamento climatico, 2021.

[5] Circular Economy Network – ENEA, 3° Rapporto sull’economia circolare in Italia. Focus sull’economia circolare nella transizione alla neutralità climatica, 2021.

[6] IPCC, Climate Change and Land. An IPCC Special Report on Climate Change, Desertification, Land Degradation, Sustainable Land Management, Food Security, and Greenhouse gas fluxes in Terrestrial Ecosystems. 2019.

[7] Dati Eurostat.

[8] BP Statistical Review of World Energy, 2020.

[9] EEA 2021.

[10] Environmental Improvement Potential of textiles (IMPRO Textiles), JRC, 2014.

[11] IMPACT ASSESSMENT Accompanying the document Communication From The Commission To The European Parliament, The Council, The European Economic And Social Committee And The Committee Of The Regions Stepping up Europe’s 2030 climate ambition. Investing in a climate-neutral future for the benefit of our people. 2020.

[12] Ministero dell’Ambiente e della Transizione ecologica, Strategia nazionale per l’economia circolare, pag. 8, 2022.

[13] Circular Economy Network – ENEA, Rapporto sull’Economia Circolare in Italia, 2021.

[14] ICESP (Italian Circular Economy Stakeholder Platform), Rapporto sull’Economia Circolare in Italia, 2020.

[15] La validità di uno strumento si comprende dalla sua capacità di rendere omogenea la valutazione di circolarità attraverso diversi settori industriali e diverse strategie attuate; inoltre, è possibile che rilevi anche valutazioni in termini di emissioni relative. Si tratta di strumenti di misurazione omogenei e integrati, quali, ad esempio, quelli in fase di sviluppo presso il tavolo UNI1608856.

[16] Strumento proposto dal Climate Friendly Material Platform. Building blocks for a climate neutral European industrial sector:Policies to create markets for climate-friendly materials to boost EU global competitiveness and jobs. Climate Strategies. 2019.

[17] Fondazione Utilitatis, Mini Book – Focus Ambiente. 2021.

[18] Si tratta di riconoscere un valore ambientale a ogni tonnellata di materia recuperata che, secondo la Fondazione, dovrebbe essere “commisurato al costo che il sistema può sopportare per raggiungere gli obiettivi di circolarità rimpiazzando la materia vergine con quella recuperata anche nei settori hard to recycle”.