Se vi  è mai capitato di imbastire una conversazione intorno alla sharing economy, o all’economia circolare o economia collaborativa, c’è sempre un momento in cui qualcuno tira sempre fuori l’esempio del trapano. E allora parliamone un po’, di questo famoso trapano.

L’esempio, che molti conosceranno, è questo: un trapano viene normalmente acquistato da una persona in occasione di qualche lavoro da fare in casa, e viene utilizzato normalmente una volta all’anno, o forse meno. Questo è ovviamente molto inefficiente sotto vari aspetti:

  • sotto il profilo economico perchè perchè con tassi di utilizzo così bassi un buco nel muro finisce per costare decine di euro.
  • sotto il profilo del consumo di risorse perchè con un modello differente basterebbero molti meno trapani e quindi si userebbero molti meno materiali
  • sotto il profilo della produzione di rifiuti perchè siamo pieni di trapani che un giorno dovranno essere smaltiti, e difficilmente verranno raccolti riutilizzati o recuperati

Di solito a questo punto il discorso viene concluso con queste parole: “perchè in realtà io non voglio un trapano, voglio solo un buco nel muro“.

Intorno a questo esempio ruotano in effetti molti dei fenomeni che stanno prendendo piede. Non si contano le piattaforme di “qualcosa-sharing” che mirano a ottimizzare l’utilizzo di ogni tipo di strumento o attrezzatura attraverso una collaborazione spontanea tra le persone. Il ragionamento è, ho un trapano inutilizzato che potrei valorizzare prestandolo, magari guadagnandoci qualcosa, a qualcuno che in questo modo eviterà di comprarlo. .

Nascono anche molte piattaforme per il noleggio di attrezzature, mirate anche ai servizi per le aziende o tra aziende, che si basano sempre sul vantaggio di poter ottimizzare l’utilizzo di un medesimo spazio, attrezzatura, competenza tra più utenti. L’esplosione del tema della riparazione fai da te infine, con scuole, laboratori, community che si organizzano attorno alle competenze necessarie per riparare e allungare la vita ai prodotti è un altro tema importante.

Al centro di tutto questo stanno i produttori e i venditori di questi poveri trapani, che hanno finora beneficiato di questa inefficienza, ma che si potrebbero trovare potenzialmente spiazzati dai nuovi modelli economici che stanno interessando il loro mondo. L’urlo “non voglio un trapano, voglio solo un buco nel muro” potrebbe terrorizzare questi giganti del fai da te.

Questa minaccia è una perfetta palestra di allenamento per quello sport che va sotto il nome di “problema-opportunità”. Un discorso che sentiamo ripetere fino alla nausea, ma che in questo momento deve diventare un mantra per qualsiasi azienda il cui business sia al centro di grandissimi cambiamenti.

Vediamo nel dettaglio due esempi lampanti di come due giganti del Fai da te, Leroy Merlin e Kingfisher stiano provando a rimanere al centro delle operazioni anche in uno scenario profondamente mutato.

trapano leroy merlin

Pochi giorni fa Leroy Merlin Italia ha reso noto di aver iniziato un percorso con collaboriamo, un portale italiano dedicato all’economia collaborativa, concentrato per il momento su tre aspetti: la formazione, la consegna e l’assistenza

Tutto ruota intorno a un nuovo ruolo che sarà affidato ai clienti (che forse sarebbe meglio cominciare a chiamare utenti, o membri), che non saranno più semplicemente obiettivi a cui si cercherà di vendere i famosi trapani, ma saranno insegnanti nei corsi organizzati da Leroy Merlin sui vari aspetti del fai da te, potranno farsi carico di una parte dell’attività aziendale legata alle consegne a domicilio, ottenendone ovviamente sconti e vantaggi, e potranno essere accompagnati nelle loro richieste da un servizio di supporto che sia più di consulenza che di semplice vendita.

Kingfisher, un altro colosso del bricolage (che in Italia era proprietario dei negozi Castorama, poi venduti proprio a Leroy Merlin) è invece da anni tra i promotori più in vista dell’economia circolare tanto che l’ex CEO Sir Ian Cheshire è stato recentemente premiato con il primo Award per l’economia circolare a Davos.
Le azioni messe in campo da Kingfisher sono veramente numerose e vertono tutte sul concetto di “ciclo chiuso”. Per rendere i propri prodotti più competitivi, sottrarsi dalla pressione crescente su molte materie prime e tenere i propri “clienti” più vicini possibile all’azienda, è stato messo in campo un programma molto ambizioso che mira alla progettazione e alla vendita di prodotti che non producano rifiuti nè in fase di produzione, nè a fine vita. Per raggiungere questo obiettivo, attorno all’umile trapano di sono strutturati un design che mira a ridurne il numero di materiali e componenti, un servizio di noleggio e di riparazione all’interno dei negozi della catena, incentivi alla restituzione e partnership con società che possano disassemblare i prodotti a fine vita al fine di poterne riutilizzare/rigenerare i componenti.

Il caso del trapano, quindi, è effettivamente un buon esempio. Le soluzioni che queste aziende stanno sperimentando vanno molto al di là del problema che veniva posto. L’introduzione del noleggio è solo una piccola parte della loro strategia di adattamento. La luce che filtra attraverso il buco nel muro di cui tanto si parla è forse quella di un modo nuovo di fare impresa.